Il Riso
IL RISO..che fa RIDERE..
TODARO: Mettè suso i risi.
GREGORIO (servitore): A sta ora ho da metter suso i risi? Vorla disnar avanti nona?
TODARO. Voggio disnar all’ora solita. Ma i risi i se mette suso a bonora, acciò che i cressa, acciò che i fazza fazion. Son stà a Fiorenza, e ho imparà là come se cusina i risi. I li fa boger tre ore; e mezza lira de risi basta per otto o nove persone.
GREGORIO. Benissimo. La sarà servida. (Ma per mi me ne farò una pignatella a mio modo).
Spassoso questo brano tratto da una commedia famosissima di Carlo Goldoni, Sior Todaro Brontolon. Il riso cotto per tre ore per soddisfare il tirchio Sior Todaro è un’immagine che ci fa sorridere, e rabbrividire al tempo stesso pensando alle condizioni del riso, (anzi i risi!) stracotto, alla maniera fiorentina!
RISI E BISI, il piatto dei Dogi
Di certo non era la ricetta che veniva servita ai Dogi per i quali il riso aveva un alto valore simbolico (e commerciale), tanto da venir consumato a Palazzo Ducale il giorno dell’elezione del nuovo Doge.
Il 25 Aprile è ancora tradizione mangiare il riso abbinato ai bisi (piselli) , usanza introdotta proprio dalla Serenissima e forse attinta dalla cucina bizantina. In questo giorno dell’anno si festeggia San Marco con uno dei quattro solenni banchetti annuali. Il cerimoniale prevedeva come portata principale i risi e bisi, che venivano serviti al Serenissimo Doge e, a seguire, alle altre personalità invitate: i Procuratori di San Marco, i patrizi del Maggior Consiglio, gli alti prelati e i diplomatici stranieri.
QUANDO QUESTO CEREALE E’ ARRIVATO IN VENETO?
Fino al Trecento in Veneto il riso era un cereale praticamente sconosciuto, anche se le sue origini si perdono nella notte dei tempi e si ritiene che le varietà più antiche siano comparse oltre quindicimila anni fa lungo le pendici dell’Himalaya. In Italia arrivò probabilmente con gli Arabi in Sicilia ma a metà del XIV secolo il riso si diffuse in tutta Italia, in particolare in Piemonte e Lombardia.
I viaggi veneziani in estremo Oriente contribuirono alla diffusione del cereale nel territorio padano. Come noto, il Trecento fu un periodo caratterizzato da frequenti pestilenze aggravate da epidemie, guerre, carestie dovute anche all’esaurimento dei vecchi alimenti destinati alle plebi come il farro, il sorgo, la segale, l’orzo e il frumento. Per la ripresa occorreva un prodotto agricolo altamente produttivo. Il riso lo era e nei successivi cinquecento anni andò consolidando la sua posizione di alimento strategico anche in Occidente. Guardando alla sua ascesa nella dieta veneta, molti studiosi hanno definito il riso come un “vegetale rinascimentale”. E’ infatti nel Quattrocento che inizia la sua diffusione sulle tavole italiane.
Inizialmente il riso era considerato un semplice medicamento ed era talmente prezioso da essere venduto a chicchi, nelle spezierie, ma ben presto divenne un alimento di massa e, in Veneto, la Repubblica di Venezia ne diffuse la coltivazione. Nel 1500 il riso era presente nel Delta del Po e nel Polesine, nella Bassa Veronese, nel Trevigiano, nell’area del medio Brenta vicino a Padova, nelle aree lagunari e anche a Vicenza.
IL RISO A VICENZA
Nella zona di Vicenza la coltura del riso venne introdotta tra la fine del XV e l’inizio del XVI secolo dalle monache benedettine di San Pietro
Le monache di questa ’abbazia ebbero il territorio in feudo appena dopo il Mille e, con lungimiranza, diedero inizio alla bonifica dei terreni. Furono loro a dar vita al disboscamento e al prosciugamento degli acquitrini tra Vicenza e Padova, costruendo quei canali ancor oggi utilizzati “per condur a Grumolo acque per risara”.
Nel Seicento si decise di destinare a risaia porzioni sempre più estese di terreno, segno che il riso è divenuto un prodotto molto richiesto e di alto valore commerciale.
Con il tempo e con il mutare degli eventi, la coltivazione del riso passò nelle mani dell’aristocrazia locale, ma anche di semplici borghesi, possessori o locatari di terre limitrofe a quelle del convento, che sempre più spesso coltivano a risaia i loro terreni; tendenza forse facilitata dal fatto che, sul finire del ‘700 il convento, incapace di seguire la complessa gestione delle terre sempre più estese, cominciò a locare a piccoli o medi affittuari anche i campi a risaia.
Le varietà che negli anni si sono affermate nel territorio di Grumolo delle Abbadesse sono: il Vialone Nano, e il Carnaroli. Il Vialone Nano, prima e unica IGP d’Europa, è da tutti considerato il capostipite dei risi da risotto più pregiati della produzione italiana. Fra tutti i tipi di riso pregiati è forse quello più adatto alla tradizione culinaria padano-veneta.
IL RISO …IN VILLA
Nel Rinascimento il controllo e lo sfruttamento delle Terre passò dai Castelli e dalle Abbazie alle Ville che divennero dei centri di produzione agricola efficienti e redditizi.
Una Villa che ancora oggi è legata alla coltivazione di questo prezioso cereale è, come si può immaginare, un’opera di Andrea Palladio. Si trova a Bagnolo, nei pressi di Lonigo, dove la coltura del riso venne sfruttata dalla nobile famiglia veneziana dei Pisani. Intorno ai primi anni del XVI secolo, Giovanni Pisani acquistò all’asta dei possedimenti e decise, con grande lungimiranza, di trasformarli in risaie sfruttando le acque dei numerosi corsi d’acqua che vi scorrevano intorno.
La coltura di questo cereale divenne una tale fonte di ricchezza per i Pisani che, in poco tempo, nella zona di Lonigo decisero di erigere alcune residenze che ancora oggi ci ricordano la potenza economica da loro raggiunta. : villa Pisani a Bagnolo, Palazzo Pisani e la Rocca Pisani a Lonigo.
LO SAPEVATE CHE…
Il riso è simbolo di abbondanza e di prosperità e non è un caso che lo si lanci come segno di buon auspicio durante i matrimoni. Nel Medioevo, quando si diffuse la coltivazione di questo cereale, si credeva che il lancio del riso aiutasse la donna a concepire figli e allontanasse dai futuri sposi gli spiriti maligni.
Con un probabile intento celebrativo, invece, le piantine di alcuni cereali compaiono nei “capricci” più famosi della Storia dell’Arte, quelli di Giuseppe Arcimboldo. Se si osserva da vicino l’originale omaggio a Rodolfo II del 1590, il pittore realizza un simpatico ciuffetto sulla fronte di Vertumno/Rodolfo II : sembrano proprio le ricadenti spighe di riso. Così, in un altro famoso capriccio di qualche anno prima, l‘Autunno presenta una barba fatta di cereali che si raccolgono proprio in autunno: quello che scende dall’orecchio sembra il sorgo, mentre quello che forma il pizzetto di barba che scende sul mento assomiglia molto alla pianta del riso!
Bibliografia essenziale
Il metropolitano.it, magazine on line
AA.VV. Cucine cibi e vini nell’età di Andrea Palladio, Neri Pozza editore
Wikipedia, alla voce Riso
Wikipedia e Treccani alla voce Giuseppe Arcimboldi