Le donne di Vicenza
MADDALENA: la donna del cambiamento
Vogliamo iniziare la pagina dedicata alle donne di Vicenza e alla loro rappresentazione nell’arte con un’opera voluta da una donna e che rappresenta una delle figure più affascinanti e controverse della tradizione cristiana e della storia dell’arte: Maddalena. Santa tra le più amate, è sempre stata un punto di riferimento per la devozione femminile, assieme alla Vergine Maria. Non è un caso, forse, che il dipinto in questione la rappresenti al centro di una sacra conversazione, seguendo un’iconografia simile a quella che vedeva protagonista la Madonna. L’opera di Bartolomeo Montagna fu commissionata da Piera Porto, intorno al 1514-15, per onorare e ricordare il marito defunto. Maddalena, riccamente vestita, si erge statuaria tra la giovane Santa Paola e la più anziana Santa Monica (ritratto di Piera stessa), accompagnate da Sant’Agostino e San Girolamo. E’ rappresentata come mirofora, ovvero portatrice dell’olio per cospargere il corpo di Cristo morto. Il dipinto ci parla, dunque, della condizione dolorosa della nobile donna superata grazie alla speranza nella resurrezione che la Maddalena rappresenta.
Maddalena è stata oggetto di molte interpretazioni. Di lei si parla ovviamente nei Vangeli, ma molti sono gli scritti apocrifi che la citano. Nel Medioevo la sua storia fu narrata nella Legenda Aurea di Jacopo da Varazze che la fece morire in Provenza, dove convertì la popolazione con la sua eloquenza. Gregorio Magno la identificò sia con la peccatrice redenta in casa di Simone, sia con quella Maddalena che unse il corpo di Cristo dopo la sua morte, diventando poi testimone della sua resurrezione. Chiunque fosse, Maddalena ebbe un ruolo importante nella vita e nella morte di Cristo, ma fu anche una donna capace di compiere scelte radicali, coraggiose e alquanto rivoluzionarie per la sua epoca (I sec).
A Vicenza è esistita un’altra Maddalena che ha avuto un’esistenza anomala per i suoi tempi. La possiamo ammirare in un dipinto a Palazzo Chiericati: viso scarno, occhi dall’espressione bonaria che paiono come appoggiati a un pensiero sfuggente, sorriso appena abbozzato e lievemente malinconico. E’ Maddalena Campiglia ritratta da Alessandro Maganza nel 1598: una donna che fece della propria libertà uno stile di vita.
Vissuta tra il 1553 e il 1595, nacque da genitori rimasti entrambi vedovi e che decisero di regolarizzare la loro convivenza quando la bambina aveva già tredici anni.
Oggi nessuno obietterebbe tale risoluzione ma nella società del Cinquecento il fatto sembrò a dir poco insolito. Maddalena si sposò nel 1576 con Dionisio Colzè, presumibilmente per volere dei ricchi e nobili genitori, ma il loro matrimonio durò poco; dopo soli quattro anni infatti, la donna si separò dal marito e iniziò a vivere in completa indipendenza, dedicandosi alle attività che più amava e la gratificavano: la letteratura e la poesia. Non più incasellata in alcuna categoria sociale, iniziò la sua eccellente produzione letteraria, con scritti di vario genere, anche religioso, nei quali il suo spirito anticonformista è espresso in tutta libertà.
IL DESTINO DELLE DONNE RACCONTATO IN UN DIPINTO : madri, mogli e novizie
La vita di Maddalena Campiglia rappresenta un caso eccezionale. Nel clima moraleggiante che veniva a consolidarsi in seguito alla Controriforma, era infatti assai raro quanto difficile poter fuoriuscire dagli schemi sociali tradizionali, che esigevano la precisa collocazione di ciascun individuo all’interno di categorie ben definite. Il discorso valeva in modo ancor più radicale per le donne, che, una volta oltrepassata la –pericolosa- soglia della pubertà, erano destinate a diventare mogli e madri oppure a intraprendere la strada del noviziato, quando, per ragioni spesso socialmente incomprensibili, non venivano bollate come prostitute o streghe.
I ritratti della famiglia Valmarana e della famiglia Gualdi esposti a Palazzo Chiericati ci raccontano bene questa realtà. Negli atteggiamenti delle bambine dipinte da Giovanni Antonio Fasolo si intuisce chiaramente quale sia il destino predisposto per loro dai genitori: Margherita, che legge attentamente il suo libro di preghiere, diventerà monaca nel convento di San Pietro mentre la sorellina Isotta, futura sposa di un nobile, con la mano sul cuore sembra accogliere l’incitamento alla virtù anche a nome dei fratelli.
Il cardellino di Virginia, il cui nome suggerisce già in sé il suo avvenire di suora, è simbolo della passione di Cristo mentre il cagnolino della sorella maggiore, Laura, simboleggiando la fedeltà fa presupporre che la fanciulla diventerà di lì a poco moglie e madre devota. Non c’era, dunque, molto spazio per la fantasia e le inclinazioni personali.
TEMPI DI EMANCIPAZIONE E DI MALDICENZE
Donne a Vicenza nel Settecento
Facendo un balzo in avanti di due secoli, le cose non sembrano essere molto cambiate. Nella seconda metà del Settecento prende avvio la storia di un’altra illustre donna, vicentina d’adozione ma veneziana di nascita: Elisabetta Caminer Turra. Figlia di Domenico Caminer, uomo dotato di grande cultura, redattore di vari giornali di successo come “La Nuova Gazzetta Veneta” e “L’Europa Letteraria”, Elisabetta seguì le orme del padre e divenne la prima donna a fondare e dirigere un “giornale enciclopedico”, tipica pubblicazione del periodo dei Lumi, trasformando la sua casa di Vicenza in una redazione vera e propria, aperta a quanti godessero di fama di letterati e di studiosi. Gli interessi di questa vulcanica donna spaziavano dalla divulgazione letteraria alle opere pedagogiche per i bambini, dal giornalismo al teatro, sua grande passione, da buona veneziana. Se il marito Antonio Turra, un illuminato scienziato vicentino, appoggiò sempre la fervente attività della moglie, Vicenza si rivela, al contrario, una città chiusa e ostile, maligna e piena di pregiudizi.
Ben presto la tipografia cui si appoggiava sciolse la sua collaborazione ed Elisabetta aprì una stamperia proprio in Contrà Canove Vecchie, dove abitava. Ma le vendite del giornale andavano male, alla morte del marito tutte le sue occupazioni non furono sufficienti ad assicurarle il benessere economico e la Caminer si trovò sommersa dai debiti. A peggiorare la situazione furono le sue condizioni di salute, in progressivo peggioramento a causa di un cancro al seno, male di cui morì il 7 giugno 1796, presso la Villa dell’amico Fracanzan ad Orgiano. Venne sepolta a Vicenza, nella Chiesa di Santo Stefano, dove nessuna lapide è stata posta a commemorare la sua figura.
Negli stessi anni Fiorenza Vendramin, un’altra veneziana, trapiantata a Vicenza in seguito al matrimonio con un nobile vicentino, soffrì le maldicenze della gente, che le rimproverava un temperamento fin troppo disinvolto per una cittadina di provincia. Secondo le indiscrezioni dell’epoca, la donna pare essersi resa colpevole di una storia d’amore clandestina con un ufficiale napoleonico che la abbandonò preferendo la carriera militare (diventerà generale). Forse per la delusione sentimentale, forse oppressa dai pettegolezzi e dall’ostilità del suo ambiente, la donna si tolse la vita con una dose di oppio, nel 1797.
L’OTTOCENTO TRA RIVENDICAZIONI E OPERE PIE
Le donne e il loro ruolo in una società che cambia
E ancora, Suor Redenta Olivieri, la fondatrice nel 1836 dell’istituto Farina per soccorrere bambine lasciate a se stesse; Elisa Salerno, la prima donna in Italia a riuscire nell’impresa di fondare a inizio Novecento una rivista dedicata ai problemi della donna in ambito lavorativo, famigliare, sociale.
Donne tenaci, intraprendenti, dal pensiero indipendente che si batterono per dare voce alla propria libertà, spesso ostacolate da un ambiente poco recettivo e bigotto.
We Tour vi offre la possibilità di ripercorrere le vite di queste donne attraverso i luoghi in cui hanno vissuto, in un tour dove la storia e le storie si mescolano, in cui a fare da sfondo sono le eleganti, solenni architetture classiche del centro di Vicenza.
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